Lo stemma storico di Palena, da cui deriva quello istituzionale, “racchiude un profondo ed alto significato storico: nel mezzo, il simbolo della cristianità, una croce con due pale legate ad essa da un nastro; sullo sfondo, il Monte Coccia, a simboleggiare l’antico MONS PALLENIUM così detto dagli antichi Romani”; “Le due pale incrociate rappresentano i due valichi di transito alle due estremità del <<Mons Pallenium>> o forse ad esprimere il simbolo pagano di PALLAS LANIFICA”; “Le due pale incrociate con la croce nel mezzo appaiono nel documento del 22 giugno 1306…”; “La scritta sull’orlo dello stesso: UNIVERSITAS PELIGNORUM, Universitas, era la denominazione medioevale data ad ogni comune tassato con un minimo di 20 once di ADOHA, in quanto, le popolazioni dei <<Castra>> soggette alla giurisdizione del feudatario…si strinsero a poco a poco al feudatario per la comunione degli interessi e della reciproca difesa”; ” La croce, nel centro dello stemma, fu scelta dai Palenesi a ricordare la venuta di San Francesco d’assisi e Palena”; ” Lo stemma sormontato da un elmo col cimiero, significa che Palena era CONTEA, come si deduce dal Diploma di Ferdinando I d’Aragona in data 17 luglio 1464 a favora di MATTEO DI CAPUA”. Virgolettati tratti da “Palena nel corso dei secoli” di Mario Como, tipografia La Moderna, Sulmona 1977, ristampato da Bastogi, Foggia 2003.
Il toponimo (Palene dall’VIII-IX sec. nel Chronicon di S.Vincenzo al Volturno), da collegare alla base meditarranea *pala con valore petro-oronimico presente anche in Pallanum (Bomba), è morfologicamente da connettere ai *Paleni (Palhnoi in Diodoro Siculo) popolo sconosciuto a Plinio probabilmente perchè all’epoca già assimilato ai Peligni Sulmonenses. La frequentazione arcaica del territorio va fatta corrispondere a ritrovamenti sporadici effettuati sia relativamente al periodo preistorici che romano e alto-medioevale su siti testimoni di insediamenti antichi identificabili poi con le molte ville dislocate sul suo territorio e all’origine dell’abitato attuale e anche su possibili riferimenti a culti arcaici come quelli a Maia, Ercole e alla dea Lucina forse identificabile nel toponimo Lucine (a quota 1300 mt s.l.m. ca. a sud-ovest dell’abitato).
Il designativo Palena è poi aggregato talvolta al domo unità amministrativa arcaica che faceva capo a Iuvanum: in generale l’aggiunta domo è dal latino domus ossia casa nel senso che assume dal IV-VI sec. in poi identificando il fundus o patrimonio fondario pertinente alla domus e posseduto, o lavorato, in comune dalla familia. La colonizzazione dell’area, e l’insediamento, sono quindi con ogni probabilità da mettere in relazione con l’antica Palenum considerato come quest’altro toponimo identificasse anche il Monte Pallenio (ora Monte Coccia o Monte Porrara) e a breve distanza sorgesse il tempio a Giove Palenio (Campo di Giove) e la stessa Forca Palena tanto da lasciar supporre il territorio sede stanziale dei Paleni o Palenesi cui accenna Tito Livio nel riferirli ai Peligni e anche Diodoro Siculo in occasione della sconfitta da questi subita da Roma nel 412 a.C.
La riorganizzazione del territorio, dopo la caduta dell’impero romano, ruota in gran parte tra il IX e il X sec., intorno alla presenza volturnense: al monastero di S.Vincenzo al Volturno infatti sono ascrivibili con ogni probabilità alcune delle più importanti fondazioni monasteriali della zona e in particolare quella di S.Maria in domo attestata fin dal 930 come semplice cella e l’ancora precedente S.Antonio abate forse da riferire come fondazione già all’890 ma anche lo stesso piccolo monastero di S.Nicola di Coccia, più tardo perchè ascrivibile al X sec., potrebbe essere stata un’emenazione tardiva della stessa abbazia.Con la decadenza volturnense le istituzioni monastiche vengono variamente rilevate da altri ordini come i cistercensi cui va probabilmente riunito sia il S.Antonio che il S.Nicola che nel XIV sec. appare dipendenza dell’abbazia di S.Vito de Trinco.Inoltre nella stessa area sembra debba collocarsi la presenza anche di Pietro da Morrone che si sarebbe ritirato per qualche tempo a vivere tra il 1235 e il 1236 in una grotta detta La Taverna nei pressi della quale sorsero poi la chiesa e il relativo monastero celestino della Madonna dell’Altare.Pietro tuttavia non fu il solo eremita attirato dalla natura dei luoghi se nella stessa zona predicavano anche i seguaci di S.Ilarione che, venuti a seguito del maestro da Cosenza nel XIII o XIV sec., s’erano fermati anche loro alle falde della Maiella sull’alta valle dell’Aventino nell’eremo di Prata o Plata donatogli dal conte di Chieti Trasmondo prima di disperdersi, alla morte del compagno S.Nicola, allorché S.Falco, passando per il casale di Sant’Egidio, ebbe a fermarvisi dando origine, dopo la sua morte, al relativo culto.
La tradizione di culto popolare derivata da Falco quindi dovrebbe esser fatta risalire almeno al XIII sec. se nel 1383 il conte di Manoppello Giovanni chiedeva al vescovo Bartolomeo di Sulmona di riunire la piccola chiesa del casale, che intanto s’era detta di S.Egidio e S.Falco, alla parrocchiale e matrice di Palena S.Antonino in considerazione probabilmente dello spopolamento a favore di Palena della vecchia contrada. Il territorio infatti a questa data è ancora occupato da un numero più che rilevante di casali sparsi alcuni dei quali, come Forca, sono veri e propri abitati autonomi anche se tutti più o meno rivelano una struttura insediativa stabile il che sarebbe indirettamente documentato dal novero delle fondazioni ecclesiali che li qualificano. All’estremo settentrionale, non lontano dal monastero di S.Nicola di Coccia, esisteva infatti il Castello di Gio.Alberico che, per posizione naturale, controllava il passo di Coccia verso la valle Peligna e confinava con i possessi dell’abbazia di S.Maria in Monteplanizio di Lettopalena, sul lato orientale il confine vedeva inoltre tutta una serie di villaggi alcuni oggi su territorio di Palena altri su quello della confinante Letto ma in passato probabilmente a cavallo tra i due, tra questi innanzitutto il Castello di Letto dell’abbazia di Monteplanizio, poi quello di Castel Planizio e di seguito forse Liscia Palazzo tutti in territorio di Lettopalena, quindi i due Pizzi Superiore e Inferiore che facevano capo ai rilievi e alle propaggini dei Monti Pizzi (nei pressi del cui versante orientale non lontano insistevano anche i due Pizzi Superiore e di Mezzo che avrebbero dato origine a Pizzoferrato).
Anche qui siamo di fronte a due strutture con carattere di abitato se sia l’una che l’altra sono individuate da varie chiese nella prima metà del XIV sec.:S.Croce, S.Maria e S.Giovanni in Pizzi Superiore e S.Maria e S.Nicola in Pizzi Inferiore. A sud poi il confine era guardato dal villaggio egualmente scomparso di Pietrabbondante con la chiesa di S.Maria la cui presenza fisica è ben illustrata oggi dal permanere sia dal toponimo Pietrabbondante che da quello che lo guarda da sud di Val di Terra (a quota 1501 mt. s. m.) il cui riferimento è con ogni probabilità estensibile, se non ad un ulteriore insediamento autonomo, almeno a Palena o al più vicino Pietrabbondante appunto.Infine, quasi a chiudere il perimetro dei confini verso sud e sud-est, ancora una volta in corrispondenza di un importante passo verso la valle Peligna, sorgeva l’abitato di Forca che forse, tra quelli antichi, è il più importante sia dal punto di vista territoriale che della consistenza insediativa con le sue numerose chiese alcune delle quali attestate fin dal 1188 (S.Cristoforo e S.Giovanni) e poi documentate nelle Sante Decime del XIV sec. in cui compaiono, oltre ai due S.Giovanni Battista e Evangelista, anche le altre di S.Cecilia, S.Biagio e S.Nicola.
Sull’oggettiva rilevanza insediativa attribuita a quest’ultimo abitato, infatti, va segnalato il fatto che le Sante Decime del 1323 ricorrano, almeno in un caso, al termine civitas per indicarne i chierici anche se in questo caso il titolo sembrerebbe più onorifico che reale, cioè non strettamente riferito al senso che il medioevo attribuiva alla parola per descrivere nuclei che presentavano resti di antichi abitati.
E’ opportuno inoltre qui ricordare, tanto per precisare i rapporti non solo volturnensi ma anche con la più vicina, e più presente, abbazia di S.Maria in Monteplanizio, il fatto che sia il S.Biagio che S.Cecilia fossero grange dell’abbazia e resteranno tali fino alla decadenza della stessa per poi passare rispettivamente al clero di Palena il S.Biagio e all’arciprete di Forca S.Cecilia chiesa in seguito finita al monastero di S.Chiara di Sulmona che ancora intreccia le sue vicende con Forca perchè fondato, come monastero, da Florisenda figlia di Tommaso di Palena signore di Forca appunto. Florisenda, infatti, aveva erditato Forca dal padre insieme ai suoi due fratelli nel 1268 e aveva passata la sua quota al monastero di S.Chiara dal che il feudo, e ciò che oggi ne resta, assunse il nome di Quarto di S.Chiara.
All’interno di questa ricca storia ecclesiastica nell’XI sec. Palena risulta infeudata a Matteo di Letto che tiene anche Laroma di Casoli. Nel XII sec., come risulta dal Catalogo Baroni, l’infeudazione è fatta ai discendenti di Manerio figlio di Berardo (cioè Berardo, Ugo, Roberto, Mallerio, Rogerio, Guglielmo e Oderisio) che, avendo ricevuto anche i feudi di Pacentro sull’altro versante occidentale della Maiella e Roccacaramanico in quello settentrionale, di fatto controllavano gli accessi al territorio di Valva rendendo per questo verosimile l’ipotesi fatta che possano essere dopotutto, come famiglia, nient’altro che la discendenza degli stessi conti di Valva e in particolare di Oderisio II. Carlo d’Angiò, nel marzo del 1269, aveva assegnati a Sordello da Goito Monte S.Silvestro (Monte Marcone di Atessa), Paglieta, Pilo (Giuliopoli), il casale di Castiglione (Vasto) e Monteodorisio.
Dopo la cessione a Rodolfo di Courtenay di Chieti Sordello rinunciò a parte dei feudi datigli rassegnandoli alla Regia Corte tra questi figuravano Monte S.Silvestro, Paglieta e Pila che vennero per questo aggregati a Chieti ma ne ebbe in cambio nel giugno del 1269 Palena e Civitacquana con il vicino feudo di Ginestra restando padrone inoltre di Monteodorisio e del casale di Castiglione. L’importanza del luogo è testimoniata anche dalla vivacità della vita religiosa per la presenza fin dal XIII sec. di un insediamento monastico francescano ma anche per la frequente comparsa dei titoli ecclesiali nelle Sante Decime della prima metà del XIV sec. relative sia all’abitato di Palena che a quello di Forca Palena, passaggio obbligato come s’è detto più a meridione verso l’interno valvense e sulmonese: nelle Sante Decime del 1308-09 relative alla diocesi di Valva infatti i due abitati compaiono nelle dizioni Furca Palena, ossia clerici de Furca Palena, archipresbiter et clerici de Fur(a) de Palena, nel 1326 clerici de Furcha Palene e nel 1308-09 clerici castri Palene, nel 1328 a clericis de Palena e Castri Palene (clerici castri Palene), Forca come civitas in quelle del 1323 (civitatem clerici de Furcha Palene e clerici de Palene) o altrove in castro Paleane; particolarmente significativa appare invece la menzione relativa agli atti del collettore per il 1323 in cui espressamente Palena è citata con i suoi casali, cioè i villaggi di contorno, s.Palena cum casalibus.
Nel XV sec., come altre comunità della zona, Palena venne assoggettata ad Antonio Caldora, fu anche feudo per qualche tempo dei Gualtieri conti di Conca nel XIII sec. da cui nacque la ricordata beata Florisenda da Palena nel 1240 e degli Orsini con Napoleone Orsini per passare, dopo la sconfitta dei caldoreschi e in particolare di Antonio Caldora che la perse nel 1467, per volere di re Ferdinando, a Matteo di Capua e poi confermata nel dicembre del 1481 a Bartolomeo, famiglia, quest’ultima, che la tenne fino al 1667. La ribellione dei Caldora era stata procurata dall’adesione di questi al partito angioino e determinò la reazione di re Ladislao che mandò ad assediare Palena in cui s’era rinchiuso, dopo essere stato cacciato dall’Aquila, Romansuccio Caldora senza tuttavia riuscisse al re d’espugnarla per cui lo stesso re, deluso, finì per ritirarsi a Gaeta. Dai di Capua passò nella seconda metà del ‘600 infine agli Aquino esponenti della recente finanza affaristica napoletana che facevano pressione sulla corona per far immettere sul mercato città e paesi alla stessa stregua dei piccoli feudi commercializzandoli e che la terranno fino all’eversione feudale nell’ambito di altri possessi che sul finire del XVIII sec. comprendevano il ducato di Casoli, le baronie di Altino e Lama dei Peligni, le contee di Lettopalena, Montenerodomo e Palena e il feudo di Taranta Peligna. Palena aveva nel 1447 140 fuochi, 217 nel 1532, 241 nel 1545, 305 nel 1561, 310 nel 1595, 288 nel 1648, 142 nel 1669, 146 nel 1732; nella Descrizione del Regno di Napoli del Caracciolo-Beltrano del 1671 elenca 284 e 142 fuochi rispettivamente valutati secondo la vecchia e la nuova numerazione valore confermato poi dal Pacichelli nel 1703.
Alla fine del XVIII sec. aveva pure un Monte Frumentario e un ospedale mentre nel 1872 veniva reso pubblico lo Statuto Organico anche di una Congrega di Carità nel frattempo istituita. Nel 1899 l’Aventino alimentava molti molini, un pastificio, una centrale elettrica e diversi mulinelli adatti alla miscelazione dell’impasto di stagno, piombo e silice necessario alla preparazione dello smalto per stoviglie che infatti qui si lavoravano in uno stabilimento (famose le fajenze di Palena). Si producevano pure colla forte e cappelli in lana che sostituivano la più antica e florida produzione dei panni in lana.
Nel 1919 erano stati individuati anche metalli sui Monti Pizzi.